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1868 - 1884 Tassa sul macinato

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La situazione finanziaria italiana, alla fine del 1866 e nel 1867, era molto grave e raggiungeva un deficit elevatissimo Era necessario garantire entrate straordinarie alle casse dello Stato. Per questo motivo il Ministro delle Finanze Ferrara suggerì l'istituzione della tassa sul macinato, già maturata in precedenza da Quintino Sella. Non ne seguirono iniziative concrete per la sua attuazione, tanto che il ministro Ferrara, dal momento che la commissione parlamentare stava esaminando soluzioni diverse, e vistosi accusato di eccessiva benevolenza verso la Chiesa, si dimise dal suo incarico ministeriale nel 1867. Luigi Guglielmo Cambray Digny riprese l'idea di Ferrara e la fece inserire nel programma di governo. Aspri dibattiti parlamentari scaturirono circa l'opportunità di introdurre un simile tributo. Fu contestato, in particolare, che la tassa andava a colpire le classi sociali a basso reddito, e che avrebbe garantito un gettito di scarsa rilevanza.

La tassa sul macinato fu, comunque, istituita il 7 luglio 1868 sotto il governo di Luigi Menabrea, Presidente del Consiglio dei Ministri dell'epoca, ed entrò in vigore il 1° gennaio del 1869. L'Italia essenzialmente era basata su una economia di tipo agricolo e il gettito garantito da questo tipo d'imposizione fu rilevante, smentendo così alcune pessimistiche previsioni.

Era un'imposta indiretta, e il relativo importo veniva calcolato in base alla quantità di cereale macinato. All'interno di ogni mulino era applicato un contatore meccanico che conteggiava i giri effettuati dalla ruota macinatrice. La tassa era così calcolata in proporzione al numero dei giri, che dovevano corrispondere alla quantità di cereale macinata. Il tributo doveva essere pagato in contanti, ma l'avventore poteva saldare anche con parte del prodotto che portava a macinare. Il mugnaio aveva l'obbligo di pagare all'esattore nei modi e tempi stabiliti. Il contatore dei giri veniva installato a spese dello Stato. Alla fine del 1869 furono istallati centottantasei contatori su altrettanti mulini, nel 1870 trentamila e nel 1871 cinquantaduemila.

Successivamente, il prelievo fu progressivamente ridotto finchè la tassa fu definitivamente abolita dal governo della sinistra guidato da Depretis a decorrere dal 1° gennaio 1884. Al momento della sua abrogazione la tassa sul macinato garantiva un gettito di 80 milioni di lire l'anno, che rappresentava una cifra molto ragguardevole. Il bilancio dello Stato subì un duro contraccolpo a seguito della soppressione del tributo.